Venerdì ho dovuto sospendere Stiletti & Co. Il sito è oscurato.
Gestire un fallimento non è facile. Non mi era mai successo a livello professionale. Ero abituata alle batoste amorose. Le startup aprono e chiudono per svariati motivi, il vero problema è il non voler vedere che ti avvi alla tragedia.
Io non l’ho voluto vedere, ho continuato a crederci e a rimandare gli ordini.
Quando lavori con passione non sei molto obiettivo.
La passione è un ingrediente bellissimo per intraprendere perché ti da un’energia pazzesca, ma è anche traditrice.
Di solito le startup falliscono perché il prodotto/servizio non funziona, non vende. Oppure perché hanno finito i soldi o non trovano finanziamenti. Oppure, spesso, sono stroncate dalle tasse perché in Italia le startup devono pagare un sacco come tutti, non ci sono facilitazioni come in Francia. Nel mio caso andava tutto bene, il prodotto funzionava benissimo come concetto e aveva cominciato a vendere.
Aveva anche avuto una bellissima rassegna stampa, era tutto bellissimo con le redattrici moda impazzite per le mascherine, una figata.
E allora qual è il problema?
Il problema è che, non essendo del mestiere, non ho avuto il pugno abbastanza fermo.
Il problema di Stiletti & Co. era alla radice: il calzaturificio.
Il mio calzaturificio lavora male, ormai non posso più far finta di niente. Abbiamo fatto non so quanti prototipi e gli errori si ripetevano, la qualità dei materiali peggiorava ogni volta, non c’era continuità, non avanzavamo. Come se non gliene fregasse niente.
I primi prototipi, dieci paia del Press Day, sono arrivati con un altro brand stampato dentro “Un errore, scusaci”. Il mio ego ha preso una botta niente male, ero molto dispiaciuta ma mi sono detta OK Veronica, ti sta bene, è un segno, sei troppo centrata su te stessa. Ma LOL, invece era segno di cazzonismo avanzato da parte loro. Nei priùi prototipi i numeri erano anche sbagliati, “calzavano” un numero e mezzo in più e la tomaia restava molto larga sul piede. Ho sempre sospettato che usassero una “forma” da scarpa chiusa, non aperta, e quello ti sballa tutto. Ma ovviamente, non essendo io del mestiere, non mi ascoltavano. No, ma ti pare?
Fabbricare scarpe è un mestiere complesso e ci sono accorgimenti che derivano dall’esperienza. Il mio calzaturificio sembrava non applicare il suo savoir faire ventennale nelle mie scarpe. Mi sono incazzata più volte ma niente.
Nel frattempo, fra un prototipo e l’altro, i mesi passavano.
Il mio errore fondamentale è stato fare il lancio subito ai primi prototipi: ho detto si ci siamo, basta che mi fate scendere il laccio alla caviglia un pochetto e partiamo.
Hahahahaha che ridere. No, davvero: che ridere.
Per far scendere il laccio alla caviglia ci sono voluti tre mesi. Poi quando ho provato le scarpe avevamo anche dei problemi di qualità di cambrione (ups, ci siamo scordati di metterne uno!) e di attrito con i bottoni automatici. Per l’attrito dei bottoni sulla pelle che mi ha fatta sanguinare avevo detto dall’inizio che andavano foderati come nel tallone. Il calzaturificio, dall’alto del suo Mestiere risponde che no, non ci sarebbero stati problemi.
Certo, come no. Sangue e lacrime, per esempio.
Con un problema simile una si dice vabbe, cambio calzaturificio e via.
Ma il modello d’affari, il business model di Stiletti & Co. era diverso. Innovativo e anticrisi in un certo senso. Ogni scarpa viene fatta al singolo ordine, cosi si possono scegliere fra tantissimi materiali, colori, e tipologie e altezze di tacco diverse. Se avessi fatto come tutti ossia con uno stock iniziale, la scelta si sarebbe ridotta a 300 paia dello stesso colore o massimo due colori, di un’altezza sola. Fare stock di 300 paia di scarpe comporta una spesa importante, oltre che il dover gestire il magazzino e fare le spedizioni.
Con il sistema “on demand” tutto questo non c’era e potevo partire subito. Avevo trovato quest’idea meravigliosa, ed era tutto merito di queli gegni di DreamApp (ex ShoesMe).
Il nostro calzaturificio era il solo che garantiva le scarpe fatte on demand a singolo ordine. Non lo fa nessuno, troppo sbatta.
Peccato lavorasse male. Probabilmente la metodologia “on demand” non è così facile da mettere in piedi e io ho sognato troppo.
Ma io credo nella qualità del Made in Italy, non voglio andare a produrre altrove. Per fortuna in Italia ci sono tantissimi calzaturifici e troverò quello giusto.
Adesso ho messo il tutto in stand by e rimborserò tutti gli acquisti.
Figura di merda, come si suol dire.
E che cosa fai quando fai una mega figura di merda?
Non ti nascondi, devi uscire allo scoperto, devi far fronte.
Il problema di immagine e reputazione è la cosa più difficile da gestire perché nel progetto, oltre alle clienti del sito e dell’App che verranno rimborsate invece di ricevere la scarpa con le mascherine, ci sono i 9 blogger che hanno creduto nella linea e ci hanno messo la faccia. Ho cercato di spiegare la cosa personalmente ma con i ritardi eravamo già ai ferri corti, dovevo far fronte alla situazione al primo mese di ritardo, non al quinto. Questo è stato il mio errore: sperare.
Non si “spera” negli affari. Si agisce.
Quando sei responsabile di un’attività sei tu che gestisci il tutto. E se c’è qualcosa che non funziona la devi risolvere subito senza farti prendere dall’entusiasmo dicendo a te stessa “si ok rimandiamo un pochino ma ce la faremo”. Non si fa, bisogna essere spietati.
La stampa ne ha parlato subito, non puoi non avere le scarpe pronte. Non puoi permettertelo. Se nell’ecosistema del progetto c’è un elemento negativo senza possibilità di miglioramento va eliminato senza pietà.
Quando io stessa mi lamento con un operatore telefonico o una ferrovia pretendo immediatamente una soluzione, non va bene se hanno delle scuse, io voglio l’efficienza. Per le scarpe come per ogni altra attività è lo stesso.
Se tu pretendi, come è giusto che sia, serietà e professionalità dagli altri, devi essere la prima a garantirla.
Io non ne sono stata capace, questo ne è il risultato.
E non è bello da digerire perché il progetto funziona, è quello che mi fa imbestialire. Fosse che non vendeva ti dici OK, idea mediocre, pazienza. Ma no. Grrrrr!
Adeso cosa succederà con Stiletti & Co.?
Il modello è depositato e non lo cedo, ricomincio daccapo con il metodo tradizionale ossia: giro di calzaturifici per scegliere quello giusto (toscani stavolta, per averlo sott’occhio e poterci lavorare insieme), nuovi prototipi, approvazione, ricerca di investor, ordine di stock, vendita online, giri commerciali e distribuzione nelle boutique per le collezioni speciali.
Quando usciranno? Questo non lo so, no lo posso dire davvero.
Se conoscete un calzaturificio serio che voglia parlare del mio progetto lo vado a trovare più che volentieri. Sono tempi duri e anche un ordine di cento pezzi può dare respiro ad un’azienda che lavora bene.
Ho investito migliaia di euro fra macchinari, materiali, press day, ufficio stampa, personale, spostamenti e com, ma è la mia immagine professionale che si prende una bella botta di dubbia credibilità. Ricominciare sarà molto più difficile.
Non vedo l’ora di tornare a casa per dare un’oretta di pugni al mio sacco da box perché l’incazzatura che ho addosso è epica, e ne sono responsabile. Questo pomeriggio sono a Firenze per presentare il libro alla IBS. Se passate mi fate super piacere :)
tutto avrei pensato, leggendo questo post, ma non in un problema alla fonte principale.
E mi pare di ricordare una tua gioia nel raccontare del made in italy, del calzaturificio etc.
Gran botta. Sicuramente.
Ma noto con piacere che sei già mezza in piedi.
In tempi di scarso lavoro, ma di tanta (troppa) gente che un lavoro, pur avendocelo, lo fa male e senza voglia, il tuo post e la tua storia sono da ricordare.
La voglia di continuare a fare e a fare bene. A costo di disfare e rifare tutto daccapo.
Ti aspettiamo
Non commento mai (banalità) ma si fa sul serio il tifo per te!
Forza Spora, ci sono brutte batoste nella vita ma ne hai avute di peggio, stringerai i denti e ripartirai.
Andrà bene.
Un abbraccio alla Spora….anzi, a Veronica! ;)
Conosco molto bene la sensazione che si ha quando si parte in tromba e si finisce in flauto dolce. Ma fare outing è una mossa saggia. Così potrai ricominciare.
Ps la prossima volta abbina anche le cinture alle scarpe. Sai mai che tornino utili, come fruste… ;)
Secondo me, carissima Spora, non è corretto parlare di un tuo fallimento. Sarebbe stato un tuo fallimento personale se tu non fossi stata in grado di promuovere e di vendere la linea di calzature da te ideata e progettata. L’unico “errore” tuo, se così si può chiamare, è soltanto di non aver potuto essere più presente, più tempestiva al momento della produzione visto che nel frattempo eri impegnata nel tour, nei workshop e nella promozione.
Io la scarpa l’ho provata a Milano, tu lo sai. L’ho trovata comoda e molto leggera. Confermo la differenza di un numero e mezzo, o porto il 37 1/2 e sono rimasta sorpresa che mi calzava il 36.
Io butto via la testa quando sento che con questa crisi un’azienda lavora male ed in può se ne frega.
Non farai nessuna fatica a trovare un’altro produttore, ne sono certa. Quello che ti serve è forse una persona esperta di tua fiducia che al posto tuo segue tutto quello che avviene presso il calzaturificio quando tu sei assente.
Fermati un momento, metti in ordine le cose, fai sbollire la rabbia e poi riparti più carica di prima. Martina
BloggHer women’s kaleidoscope
Tieni duro! Hai superato tante avversità, supererai pure questa!
In bocca al lupo… :-)
le cadute insegnano più dei successi, e più grossa è la caduta più grande sarà il successo dopo se impari dall’errore.
forza!
Un abbraccio
Ciao Veronica, sono reduce anche io da un fallimento e capisco la tua rabbia…soprattutto la credibilità e il valore personale che noi stesse mettiamo in dubbio fa più male di ogni altra cosa.
Posso però dire, dalla mia umile esperienza e dai numerosi testi sto leggendo ultimamente, che siamo sempre e comunque noi responsabili di ciò che accade nella nostra vita e che addossare le colpe agli altri non è di aiuto.
Non dico che nel tuo caso il calzaturificio non ci abbia messo del suo, e anche per loro si parlerà di responsabilità di un affare perso, ma nel tuo caso forse l’inesperienza è stata la goccia di troppo.
“Non esiste professionalità senza strategia” cita un mio libro.
E’ assolutamente vero che la passione e l’entusiamo sono una parte fondamentale di un progetto, e tu ce ne hai messa tanta, si sente. Ma purtroppo senza una strategia si va da poche parti…Occorre suddividere il progetto in obiettivi più piccoli (chiari, quantificabili e con una scadenza), e stabilire le singole azioni da compiere per raggiungere ognuno di essi…una volta raggiunto il primo, potrai passare al successivo, ma in questo modo avrai ben chiaro il risultato raggiunto (o il fallimento) e potrai agire di conseguenza con eventuali piccoli ritocchi, se necessario.
E posso anche consigliarti di non fare tutto da sola: so che è gratificante, che ci inorgoglisce sapere di poter essere indipendenti, ma purtroppo occupandosi di troppe cose inevitabilmente si perdono dei pezzi per strada….si rimanda, ci si dimentica, non si sa e si va per tentativi…come ti ha consigliato Martina, fatti aiutare, delega a qualcuno di tua fiducia alcune delle incombenze più facili, chiedi a chi ne sa di più per ciò che non conosci, e vedrai che la soddisfazione non sarà per questo minore.
Un in bocca al lupo per tutto. xoxo
Da qualche parte bisogna pur cominciare! E anche sbagliare, questa volta è andata così la prossima, anche grazie a questa esperienza, andrà diversamente. Solo chi non si mette in gioco non fa mai figure di merda!
come ti avevo preannunciato prima su twitter avevo letto solo la metà. leggendo il resto ho capito che invece di dire quel che volevo è meglio che sto zitto.
Ad ogni modo la cosa interessante del tuo discorso è la metodica con cui hai analizzato gli errori e le contromisure. svagati un po’ e vedrai che quando ripartirai con l’avventura, penserai a questi giorni come un male necessario per imparare, in fondo non è che stai gestendo il banchetto di fumetti usati che si faceva da bambini!
in bocca al lupo!
Un vero peccato.
Spero ripartirai presto e avrai i risultati che vorrai.
In bocca al lupo.
Cara, leggo del tuo momentaneo fallimento e penso al mega progetto che sto elaborando e che realizzerò nei prossimi mesi; mi spaventa tutto dall’inefficienza dei collaboratori all’immancabile “avvoltoismo”, è pieno di gente che vorrà copiarmela perchè è innovativa, bella, divertente ed economica (per il mio settore ovvio) e so che sarà dura ma ce la farò perchè l’unica cosa che mi manda avanti è la determinazione e sento dalle tue parole che anche a te non manca, incassa e ricomincia da capo, alla grande, perchè un grande progetto vive solo così!
Un mega bacio.
Solo questo nell’attesa del nuovo :-)
Stai serena.
Scusa se mi permetto, ma parlo da potenziale acquirente. Non avrei mai comprato quelle scarpe, indipendentemente dai difetti di fabbricazione. Non sborserei cinque euro per un accessorio disegnato da qualche blogger (di discreto successo, forse) senza alcun tipo di preparazione nel campo della moda.
Specifico che leggo te e alcune di loro con piacere, quindi non è una questione di antipatia.
Non ero sola, avevo ben due interlocutori di cui uno già creatore di scarpe. Purtroppo mi è sempre stato negato di andare a parlare con il calzaturificio di persona. Solo mail, schizzi, annotazioni sulle foto dei prototipi. Avrei davvero voluto lavorare intorno alla forma insieme a loro e spiegare il perché di ogni modifica. Come il sangue dei bottoni automatici non foderati.
La prossima volta farò da sola, invece. Altroché!
@Cate: le blogger hanno disegnato gli accessori sopra la scarpa. E li è questione di fantasia, non di savoir faire calzaturiero.
La scarpa invece l’ho disegnata io su una base molto semplice standard.
Infatti mi riferivo solo alle mascherine; trovo che siano davvero poco portabili. Insomma, si intuisce la mancanza di uno shoe designer esperto.
Ti auguro comunque tanta fortuna per il futuro,sono certa che saprai risollevarti in mille modi.
Concludo dicendo che adoro i tuoi post sugli uomini e sulla singletudine!
si fa presto a dare i consigli “dopo”, ma io te lo do lo stesso, con affetto: hai avuto di certo sfiga con il calzaturificio, ma anche se così non fosse stato, secondo me avevi un po’ “sottovalutato” la portata di una start up. Voglio dire: una start up è come un neonato, va seguito 24h al giorno. Non è ancora un bambino autonomo. Tu sei bravissima, super, ma una roba come questa meritava tutto il tuo impegno mentale. Traduco: secondo me è sbagliato fare troppe cose insieme: libro, corsi, start up. Meglio andare piano, ma lontano (anche se indossi un tacco 12)!
@Fran si, è vero, un progetto come quello ha bisogno di attenzione costante.
Infatti farò una cosa che non ho voluto fare la prima volta, ossia vendere il 49% a un investor che sappia fare quel che non so fare io per essere più efficienti :)
e comunque in un paese dove e’ sempre colpa di qualcun altro e’ una gran bella boccata d’aria fresca trovare qualcuna che riconosce i suoi errori e ci mette la faccia.
(non che mi aspettassi qualcosa di diverso dalla Spora,eh!)
Un grosso in bocca al lupo, che io le scarpine personalizzabili me le voglio comprare eccome!
mi dispiace un sacco. spero ripartirai in quarta come sempre. con modelli un po’ più portabili, magari, son pronta a comprartene un paio. anche se 150 euro erano proprio tanti.
Spora io ti stimo. Tanto.
Ma secondo me il tuo lavoro non è fare scarpe.Il tuo lavoro è creare eventi, relazioni, storie, insomma film su un prodotto o un servizio. Hai il dono di saper rendere figo ogni tuo partner: scrivi, organizza, twitta.
Lascia perdere le scarpine per ora. Mettile nella scarpiera e prendi fiato. Te lo meriti e te lo devi, di dedicarti un po’ ate stessa. Sei nata per fare la web influencer, ti viene naturale.
In bocca al lupo, per tutto, anche Whatsapp.
In bocca al lupo per il prossimo giro di giostra.
Planning is everything, plans are nothing.
Dwight D. Eisenhower
E brava riconoscere di dover dare il 49% all’investor, che fa le cose che tu non sai fare.
Non sono una commentatrice di blog, mi diverto più a scriverci sopra, quindi per me è strano, ma credo che questo post meriti.
Merita i miei complimenti per i coraggio di ammettere pubblicamente, che le cose non vanno sempre come vorremmo, che nel realizzare un progetto si sbaglia, si cade, ma ci si rialza.
Per quello che può valere il mio giudizio, la tua autostima professionale è, quanto mai salva.
Ora incrocio le dita per il nuovo inizio!
Sei fortissima comunque….tieni duro e in bocca al lupo!
a Milano sei già venuta?
I fallimenti capitano in continuazione e sono più delle cose che riescono, si sa. Riprova.
Ti leggo sempre con molto piacere.
Trovo che questo post sia di per sè già una vittoria. Riconoscere i proprio errori, assumersene la responsabilità e rimanere intraprendenti sono qualità quanto mai rare in questi tempi.
Non mollare e in bocca al lupo!
Valentina
Capisco che fabbricare scarpe ‘on demand’ possa dare dei problemi; tuttavia, in tempi di crisi in cui più si è ‘orientati al cliente’, meglio è, mi stupisce la difficoltà di trovare un calzaturificio che risponda alla necessità. Il problema è stato di rivolgerti al produttore sbagliato e probabilmente queste cose si imparano sbagliando, acquisendo l’intuito per comprendere fin da subito se quelli a cui ci si rivolge sono affidabili o meno, altrimenti cerca qualcuno che conosca molto approfonditamente il campo per riuscire a scegliere il produttore giusto… Certo, credo che molto sia dipeso dal fatto che non sei riuscita ad avere un contatto diretto, col quale forse avresti potuto capire fin da subito che non era aria…
In tutta onestà, cosa ti aspettavi? hai scelto modelli non proprio mettibili, hai fatto disegnare le mascherine a dieci persone che non hanno un minimo di competenza e, in ultimo, hai dedicato pochissimo tempo al progetto.
@Marcello hai colto nel segno. Me ne sarei accorta prima, o avremmo trovato più probabilmente una soluzione insieme.
C’est la vie, non era tempo.
Mi dispiace per il – momentaneo – fallimento e ti auguro di risalire presto sull’onda! non conosco nominativi precisi nel calzaturiero, ma mi permetto una dritta ; Riviera del Brenta! ;-)
Ciao Veronica,
ti passo un contatto: Astorflex
Il diodeiprojectmanager dice che ogni cosa nel progetto è responsabilità del Project manager…c’è un mondo tra l’idea e la produzione industriale e per colmarlo ci vogliono lucidità, iniziativa,proattività, competenza e comunicazione. La prossima volta andrà meglio :)
Ho conosciuto il tuo progetto solo ora che ha subito uno stop temporaneo.
Sei stata davvero molto brava a cominciare, prenderti in spalla il progetto ed ammettere i tuoi errori. Il fallimento sarà la tua forza.
Purtroppo in Italia non siamo abituati ai fallimenti delle startup,cosa abbastanza normale altrove, ma avrai possibilità di riscattarti perchè sei già dieci passi avanti.
Ti auguro semafori verdi sulla tua strata verso il successo.
Giancarlo
<3
Che peccato, adesso che avevo deciso di ordinarle…
Anche se devo dire che mi bloccava un po’ non poterle provare.
Io porto dal 38,5 al 40 …. Come decidere quale numero ordinare?
Comunque quando riparti ….un paio le voglio.
Super in bocca al lupo per la rinascita.
Tu avrai chissà quante altre idee vincenti, il calzaturificio ha perso una grande, grandissima occasione invece.Mettono il logo del “madeinitaly” è a noi ci tocca il cuore, ma per stare sul mercato forse ci vuole più impegno da parte delle nostre aziende.
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La edo. Ottimo calzaturificio in Puglia. Prova sono speciali…..
Spo’,
mi spiace per questo progetto saltato, anche se forse era (oggettivamente) troppo.
Comunque, se poso permettermi, c’è un ottimo calzaturificio ad Arezzo (Bruni), che lavora daddio! E sarebbe anche vicino!
Se hai bisogno, scrivimi pure.
Un abbraccio.
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